Le opere di BreraBicocca 2021

BreraBicocca 2021 – “Domani”

Le opere e gli artisti

Simone Acquaroli, Sapiens (?)

L’autore: Ragazzo di 21 anni nato a Bergamo. Da sempre appassionato delle immagini e dalle emozioni che quest’ultime sono in grado di generare, uso la grafica e la fotografia per esprimere la mia visone del mondo.
L’opera: “La linea della Storia che ci viene insegnata è davvero così lineare e spiegabile come sembra sempre di percepire?
L’umanità da sempre si (re)inventa e si ricicla, dagli aspetti più esterni come l’architettura fino agli impulsi istintuali interni ancora presenti nel nostro DNA dopo migliaia di anni.”


Corinne Aimar, Sublime e pittoresco

L’autrice: Ho deciso di trattare il rapporto uomo e natura, concentrandomi sul carattere dell’uomo all’interno di essa, seguendo un tratto fiabesco richiamando l’aspetto sublime e pittoresco della nostra natura.
L’opera: “Per il mio progetto voglio trattare il rapporto uomo e natura, concentrandomi proprio sul carattere dell’uomo all’interno di essa, seguendo un tratto fiabesco e richiamando l’essere sublime e pittoresco di essa. L’ambientazione scelta per il progetto corrisponde a luoghi aperti, come parchi, giardini, baschi, tutti luoghi dove sia presente la natura nella sua semplicità e espressione, quella natura ancora “libera” dall’essere umano. Ho scelto come soggetto la figura femminile, perché mi sembrava la più appropriata per questa tema, prendendo in causa un esempio lampante, abbiamo sempre conosciuto la natura come madre terra, madre natura e per questo la figura più affine al mio percorso è proprio la donna. Per questo, tramite il mio progetto voglio arrivare a trasmettere quella sensazione di romanticismo talvolta fiabesco, di quel sublime leggermente diverso, un sublime più dolce che possa portare a un turbinio è un coinvolgimento di emozioni. Tutte le foto sono a colori ed in quasi tutte le immagini non ho effettuato modifiche per quanto riguarda i colori, ho preferito lasciarle al naturale, mantenendo un contrasto di toni freddi e caldi.”


Moriel Ascione, Wondering Beauty

L’autrice: Moriel Ascione nasce in Filippine nel 1995 e cresce in Italia, sulla costa Tirrenica, nella provincia di Livorno. La sua indagine mira, attraverso lo strumento fotografico, alla comprensione del rapporto fra sè e lo spazio.
L’opera: “Wondering Beauty è il risultato di una ricerca introspettiva volta al miglioramento dello stato d’animo mediante la bellezza, una sorta di percorso terapeutico che indaga il bello come “insight” nei territori che l’autore ha abitato durante il periodo del lockdown, una domanda che trova la sua risoluzione negli occhi di chi osserva il mondo.”


Mirjam Balestrini, La porta dell’essere

L’autrice: Cos’è una soglia, se non l’attimo di distinzione? Tra esterno e interno, stanze e labirinti ci muoviamo alla ricerca di un’identità.
L’opera: “Calandosi nel polo dell’identità non si trovano che infinite stanze impercorribili. I pavimenti temporali cedono, si schiudono le porte dei ricordi, le mura ci forniscono il contorno. Le infinite stanze sono abitate dal possibile, da pagine di libri che si scrivono e disfano lasciando solo polvere nell’aria. Ma aldilà dell’uscio, aldilà del volto composto da una planimetria di unici tratti, è teso verso il cielo il marasma dell’ignoto.”


Nicolò Barbafiera, /FEEL ME/

L’autore: Nicolò Barbafiera è molto interessato ai ritratti in studio e alle sperimentazioni sulla luce.
L’opera: “Lo scopo di FEEL ME è quello di esplorare il rapporto che le persone hanno con il proprio corpo, un rapporto riscoperto durante il primo lockdown. Essere chiusi in casa, ben lontani dalla realtà a cui eravamo abituati, ha portato tutti noi ad un’attenta analisi di noi stessi, accettando quelle caratteristiche che ci hanno fatto vergognare per anni. Mostrare come siamo fatti non è semplice. Sentirsi liberi ed accettati per quello che si è, senza badare a cosa dicono gli altri, lo è ancora meno. Ma non è impossibile. Ho chiesto quindi ad amici e a conoscenti di posare per me, mettendosi a nudo davanti alla macchina fotografica, mostrando sicurezze ed insicurezze senza alcuna vergogna. Ognuno dei modelli che ho scelto è stato libero di mostrare il suo corpo come preferiva, vediamo infatti scatti di nudo accostati a foto completamente vestiti. Non mi va di parlare di “imperfezioni” perché questo implicherebbe l’esistenza di una qualche forma di perfezione, cosa in cui non ho mai creduto.”


Gabriele Barbagallo, Dimension n°264

L’autore: Gabriele Barbagallo è attualmente studente del corso di nuove tecnologie dell’arte. La sua ricerca artistica affronta i temi dell’identità e dell’autoritratto come espressione di sé.


Elisa Barito, Silvano

L’autrice: Elisa Barito è nata a Milano, città in cui vive.
L’opera: “La foschia si dileguava furtiva nei boschi, come un fantasma allo sciogliersi di un incontro notturno.”
da “Walden ovvero Vita nei boschi” Henry David Thoreau
Si ringrazia Federica Brondoni per aver posizionato le fototrappole.


Giorgio Bernasconi, DRY Portrait

L’autore: Giorgio Bernasconi è laureato in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e lavora a Milano.
L’opera: “Cos’è un DRY? Acquerello, Acrilico, Affresco, Cera, Encausto, Olio, Pastello, Tempera, queste tecniche si distinguono tra loro in base al modo in cui lo stesso pigmento viene legato; cioè in base ai nomi dei leganti che si utilizzano per le singole tecniche.
Nel corso dei miei studi delle tecniche pittoriche mi chiesi se fosse possibile dipingere utilizzando il pigmento nella sua forma più pura, senza l’utilizzo di leganti. Questa curiosità ed esercizio mi ha portato a danzare con l’imprevisto, trovando soluzioni nuove e assai proficue dettate dall’empirismo del fare, ne sono un esempio i dipinti che chiamo “DRY”.
Realizzati utilizzando pigmento puro in polvere che viene incorporato alla tela grazie ad una tecnica a secco da me inventata, che permette di incorporare il pigmento alla superficie pittorica senza usi di leganti.
Una volta risolta la tecnica, era necessario trovare le ragioni, per fare ciò ho indagato il mio tempo e ho trovato una considerazione: gli ultimi avvenimenti globali hanno concluso il periodo della postmodernità, ci troviamo di fronte ad un nuovo tempo, ancora senza nome.
Era necessario decidere cosa portare in questo nuovo mondo, cosa vi è di fondamentale?
– Tutta la Vita, Rosso Magenta
– Tutta la Luce, Giallo di Cadmio
– Tutto il Tempo, Blu Ciano
Quando il mondo riaprì, trovai giusto riaprire lo studio, e quando i primi visitatori vennero a trovarmi, notai come interagivano con queste superfici di puro colore, e subito ebbi l’istinto di immortalare il rapporto che veniva a crearsi tra osservatore ed opera. I risultati erano entusiasmanti, e decisi di trasformare quello che era stato un’ atto istintivo e sincero in una performance.
Durante la mostra “Senza Confini” curata da Andrea Del Guercio, in due intervalli da 2 ore ciascuno, ho ritratto 25 persone.
Ciò che mi interessa è il rapporto che si instaura con la persona che ho di fronte, nel tempo necessario alle fotografie cerco di metterla a suo agio, poi la porto a raccontarmi di se, conducendo la conversazione, mentre scatto fotografie. Le sessioni diventano un momento per conoscersi e creare legami.”


Elia Brignoli, Escape room

L’autore: Elia Brignoli è nato nel 1996 a Bergamo. I suoi lavori sono concertati sulla dimensione dell’altrove che viene creata dal medium fotografico. Nelle sue ricerche utilizza e riconosce il mezzo non come strumento tecnologico, ma come linguaggio. Spesso i suoi progetti sono scenari illusori che hanno la capacità di mostrare diversamente la realtà attraverso la forma e il colore. Interpreta la fotografia come un gioco infrasottile tra reale ed immaginario.
L’opera: “Il tempo si era fermato e aveva alterato inevitabilmente la vita delle persone.
Non era più opportuno sognare progetti futuri, perché si viveva in un vero e proprio limbo caratterizzato dall’isolamento, in cui la routine e la ripetitività ne facevano da padroni.
L’osservare ed il guardare al di fuori era dettato dalla tecnologia, tutto era un grande eco.
L’utilizzo della tecnologia aveva aiutato le persone ad aprire una piccola finestra interattiva per provare a respirare libertà nel mondo.”


Roberta Carboni, SHELTER

L’autrice: Roberta Carboni, classe 1993, si laurea in Grafica d’Arte e Progettazione presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari. Attualmente è una studentessa di Fotografia presso l’Accademia di Belle arti di Brera.
L’opera: “Il 2020 è stato un anno molto diverso dagli altri. Per diversi mesi ci siamo chiusi in casa a temere per la nostra vita e soprattutto per quella dei nostri cari a causa di un virus ad alto potenziale mortale che si è diffuso in tutto il mondo. Molti si sono ritrovati soli, senza possibilità di vedere nessuno per molto tempo. La paura del contagio si è insinuata dentro ognuno di noi, cosicché anche quelle rare volte in cui per estrema necessità si poteva uscire di casa, si evitava qualsiasi forma di comunicazione non essenziale con gli altri. I dispositivi digitali in questo senso ci hanno aiutato: sono stati l’unico punto di contatto con il resto del mondo e con i nostri cari, hanno accompagnato le nostre giornate e ci hanno fatto sentire meno soli. La nostra casa è stata un rifugio dal virus, l’unico luogo sicuro, ma per molte persone è stata anche una prigione piena di solitudine e paure. Abbiamo modificato la nostra vita: abbiamo cominciato a lavorare e studiare da casa, a convertire il sabato sera con gli amici in videochiamate di gruppo, a riprendere alcune passioni che avevamo abbandonato o imparare cose nuove, ad allenarci, a cucinare, a leggere. A illuminare le nostre giornate sono state le luci dei nostri dispositivi, costantemente connessi, che ci hanno accompagnati in ogni azione e in ogni interazione con gli altri.
Questo progetto fotografico è nato proprio in quel periodo in cui la pandemia ancora perversava nelle nostre città. Ho raccolto i pensieri e gli stati d’animo di alcune persone per sapere come vivessero questa situazione e ho cercato di reinterpretare i loro sentimenti e le loro sensazioni mentre io stessa ero chiusa nella mia casa. Ho notato che molte sensazioni erano comuni a più persone, anche molto diverse fra loro. Elementi più frequenti sono stati la solitudine, la paura, la noia. L’uso dei dispositivi è stato indispensabile per tutti ed è per questo che ho scelto di illuminare ogni azione soltanto con la luce fredda degli schermi, unica via per raggiungere l’esterno.”


Noemi Comi, Metamorfosi I

L’autrice: Noemi Comi è una fotografa concettuale nata a Catanzaro nel 1996. Mantenendo un rapporto ambiguo tra realtà e finzione le sue opere seguono un’estetica ben definita, dominata da tinte forti e colori acidi.
L’opera: “Dopo la pandemia ho perso la capacità di relazionarmi con il prossimo e di esternare emozioni di qualsiasi tipo. Un giorno ho visto per strada una testa di agnello, reduce probabilmente da un pranzo pasquale. Mi sono resa conto di sentirmi come quell’agnello, un corpo senza vita, l’espressione ultima dell’orrore. L’ho inserito all’interno di un vaso e l’ho lasciato marcire, seguendo il lento decadimento della sua carne. A distanza di sei mesi sono rimaste soltanto le ossa. Queste, nella mia mente, sono diventate conchiglia, rinascendo dalle acque e bucando il terreno. La conchiglia è da sempre considerata simbolo di (ri)nascita, soprattutto a livello spirituale. Essa è inoltre auspicio di fortuna e positività.
L’ opera “Metamorfosi I” mostra dunque, seguendo diverse fasi, questo processo di morte e rinascita.”


Maria Cristina De Paola, Finis Terrae

L’autrice: Cristina De Paola (Lecce, 1995) vive e lavora a Milano. Ha conseguito le seguenti lauree – triennale e magistrale – in Nuove Tecnologie dell’Arte e in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
L’opera: “La serie Finis Terrae nasce con lo scopo di indagare l’area geografica del Salento. La ricerca svolta sul campo si è evoluta in una stratificazione di elementi che costituiscono e indagano un’archeologia territoriale messa in relazione con un retaggio strettamente personale. Dalla nascita del termine “Antropocene” è aumentata la necessità di ristabilire un contatto con la dimensione più naturale del nostro ecosistema, denunciando i cambiamenti drastici che la nostra specie ha apportato alla sua biodiversità. Anche i contesti che apparentemente risultano incontaminati sono stati vittime silenziose dell’intervento dell’essere umano. Grazie alla ricerca svolta sul territorio salentino è stato possibile osservare come già nel 4000 a.C. i nostri antenati avessero instaurato un rapporto simbolico e spirituale con ciò che li circondava: l’uomo ha sempre cercato di identificarsi con il proprio habitat, modificandolo e connaturandolo ad una scala adeguata. Finis Terrae è un itinerario dinamico che affronta molteplici dimensioni del territorio nel tentativo di stabilire una connessione tra l’arcaico e il contemporaneo, del ruolo dell’essere umano e dei cambiamenti che attua con il visibile e l’effimero.”


Tiziano Demuro e Sergio Raffaele, Under Milano

Gli autori: Tiziano Demuro, nato nel 1992 in Sardegna, vive e lavora a Milano. Studia come grafico pubblicitario e si laurea in Nuove Tecnologie per l’arte all’Accademia di Belle Arti di Sassari. Dopo una parentesi lavorativa a Kaunas, in Lituania, presso il Kaunas Photo Festival, torna in Italia e frequenta un Biennio specialistico in Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2019 prende parte al Canon Student Program con una borsa di studio al VISA pour l’image di Perpignan. Attualmente, lavora come fotografo e grafico e segue un suo personale percorso tramite diverse modalità di lavoro e sperimentazioni, con una ricerca incentrata sull’anatomia fisica ed emotiva, spazi e superfici, dettagli ed elementi intimi, luoghi e oggetti che si stratificano nelle storie e sono chiavi di decodificazione e costruzione di un percorso in completa evoluzione.
Sergio Raffaele nasce a Messina nel 1978, ma lascia immediatamente la Sicilia per viaggiare con la famiglia tra Iraq e Arabia Saudita, dove trascorre l’infanzia. Stabilitosi a Milano, durante il periodo universitario si interessa al racconto metropolitano per immagini e si laurea con una tesi su Eric Drooker, illustratore del ‘The Newyorker’. Successivamente studia fotografia presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera di Milano, dove oggi lavora come fotografo e digital editor. Nel 2017 entra a far parte del collettivo Italian Street Eyes, con il quale collabora a progetti fotografici ed eventi di promozione e valorizzazione della fotografia di strada nel territorio nazionale ed estero.
L’opera: “La metropolitana è una geografia laterale, un universo che letteralmente soggiace al mondo reale e sembra muoversi secondo regole proprie. In particolare, quella milanese è utilizzata ogni giorno da oltre un milione e trecento mila passeggeri, una tribù di nomadi che transita in spazi ibridi che si codificano quotidianamente secondo regole sempre nuove, in continua evoluzione.
La routine del viaggio, scontato e passivo, diventa in Under Milano un’immagine che trasla l’attenzione dal luogo oggettivo alla sua percezione, dalla struttura fisica al modo in cui viene vissuta e dunque trasformata. Seppur sostenuto da un forte impianto estetico, il progetto supera il puro godimento visivo per spingersi verso un’indagine antropologica attiva, cercando di svelare un paesaggio nascosto, intimo, sotterraneo e pulsante. Under Milano, complice l’alchimia tra le differenti personalità dei due fondatori, mette insieme un caleidoscopio di ambienti e situazioni del sottosuolo milanese, focalizzando l’attenzione su attimi, dettagli e atmosfere che, insieme, tessono un vissuto quotidiano precario e prezioso.”


Alice Dicembrino, Spazi Violati

L’autrice: Alice Dicembrino è nata a Milano nel 1995, ha frequentato il corso triennale di Arti Visive presso Nuova Accademia di Belle Arti, tutt’ora frequenta il biennio specialistico di fotografia a Brera. Il suo lavoro si basa principalmente su un’indagine sulla città di Milano, mantenendo uno sguardo critico sugli aspetti sociali e culturali che la caratterizzano.
L’opera: “Il consumismo fa parte della vita quotidiana di tante persone, specialmente di chi vive nelle grandi città e i manifesti pubblicitari si stanno ingigantendo sempre di più. La mia città natale Milano, è decorata con immagini commerciali molto evidenti, creando un bombardamento visivo nel quale le persone si sono abituate a guardarle. Di conseguenza i cittadini non danno molta attenzione a queste immagini, nonostante le si vedano ogni giorno, mentre si attraversa la città. Io ricopro questi spazi che violano il nostro inconscio come gesto di disprezzo, il mio intervento di censura è una riflessione sul rapporto che abbiamo con lo spazio urbano contemporaneo, nel quale la maggior parte delle immagini pubbliche sono provenienti da una cultura che non ha più interessi sociali. Ci si può immaginare un mondo futuro senza pubblicità?”


Elena Garau, Skin Hunger

L’autrice: Elena Garau nasce a Monza nel 1995. Attualmente studia a Milano, dove frequenta il 2° anno di Fotografia presso l’ Accademia di Belle Arti di Brera. La riflessione fotografica di Elena si espande a nuove forme dell’immagine, come le immagini catturate dallo schermo. Il suo lavoro e la sua ricerca si concentrano sulle nuove realtà create dai dispositivi connettibili e sulle contraddizioni tra gli spazi fisici e digitali che abitiamo.
L’opera: “Baci, abbracci, carezze, strette di mano, pacche sulla spalle: da quando è esplosa la pandemia ogni gesto d’affetto è vietato. Guardiamo l’altro da una distanza di almeno un metro e siamo costretti a decifrare il suo stato d’animo dagli occhi, non potendo vedere nemmeno se sorride o se è imbronciato, perchè è coperto dalla mascherina. Eppure, per l’essere umano il contatto fisico è un esigenza primaria, biologica, necessaria quasi come l’aria che respira: chi trascorre molto tempo senza toccare, soffre di “fame di pelle” o “privazione dell’affetto”, e può sperimentare una serie di effetti fisiologici negativi, che aumentano stress, depressione e ansia.”


Alessandra Gatto e Marco Pelos Spagno, IMPERMEABILE

Gli autori: Alessandra Gatto è un’artista che vive e lavora a Milano. Ha conseguito la laurea triennale in Fotografia presso la LABA (Libera Accademia Di Belle Arti) di Firenze, e successivamente un master in Photography and Visual Design presso la NABA di Milano. Dal 2019 si occupa di fotografia di beni culturali. La sua ricerca si focalizza sul rapporto tra uomo e natura, con-centrandosi su formalizzazioni astratte che hanno come scopo l’indagine sull’attitudine contemporanea dell’uomo nell’ambiente tramite tecniche e sistemi di visione sperimentali.
Marco Pelos Spagno, nato a trieste nel 1994, si avvicina alla fotografia fin dall’età di 14 anni. Frequenta L’Univerza v Novi Gorici, akademja umetnosti (università di Nova Gorica, accademia di arti digitali e nuove belle arti) in Slovenia nella quale si avvicina alla fotografia come operazione artistica. Dopo aver ottenuto la laurea frequenta il Master in Photography and Visual Design in NABA (Milano) e il biennio specialistico in Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera. Fonda i principi della sua ricerca artistica sul tentativo di riavvicinamento alla corporeità persa nell’epoca digitale interessandosi anche di economia e sociologia. Si occupa dal 2018 di fotografia di beni culturali.
L’opera: “Il lavoro è parte di una produzione più ampia svolta sul Parco Archeologico della Sibarite, luogo che sorge tra le acque dei fiumi Crati e Coscile a pochi chilometri dal mare. É proprio l’acqua che ne determina l’importanza strategica e che la rende fertile facendola diventare uno dei poli più importanti della Magna Grecia. A distanza di quasi quindici secoli, la stessa acqua diventa il principale problema per la conservazione e per la gestione dell’attuale parco archeologico, nel quale si dovette procedere a un sistema di drenaggio meccanizzato delle acque ma, nonostante le idrovore in funzione, il sito è tuttora soggetto ad allagamenti. Diventa dunque necessario trattare allo stesso modo gli scavi e le infrastrutture che li mantengono mettendo in crisi la lettura convenzionale che si ha della fotografia di beni culturali. Il mantenimento dei canoni classici contrapposti alla continua manipolazione delle immagini tendono a creare un cortocircuito tra documento e non documento portando il fruitore a dubitare dell’effettiva veridicità dei reperti e dei luoghi e a riflettere sul consolidato sistema di riproduzione dei beni culturali.”


Giacomo Infantino, Preja Büia

L’autore: Giacomo Infantino, nato nel 1993 in provincia di Varese, si laurea in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Il lavoro di Infantino è esposto a livello nazionale e internazionale in mostre collettive e personali tra cui: Istituto Italiano di Cultura (Praga 2021), Futuro Arcaico (Bari 2021), Museo di Fotografia Contemporanea – MUFOCO (Cinisello Balsamo, 2021), Camera Work (Palazzo Raponi di Ravenna, 2019), Galleria Still (Milano, 2020), Garbatella Images (Roma, 2021), Museo degli Innocenti (Firenze, 2021), B-Part Gallery (Berlino, 2020), ABITARE – 999 Una collezione di domande sull’abitare contemporaneo (Triennale di Milano, 2018).
L’opera: “Preja Büja è un’indagine aperta lungo diversi territori della penisola italiana. Il significante del naturale, i territori di confine, la relazione effimera tra luoghi dal retaggio preistorico, è rielaborato attraverso una disposizione di fascinazione del mito, del paesaggio e dell’uomo stesso. Il lavoro, ponendosi come dialogo tra inconscio e suggestione dell’individuo, si configura attraverso una dimensione ampia e sfaccettata creando interstizi di significato, sopravvivenze atte all’esplorazione cosmogonica del mito, della favola, tra l’arcaico e il contemporaneo.
In Preja Büia, nome derivato da un masso erratico della provincia di Varese, diviene la chiave di lettura di un territorio antico, messo in forte crisi dalla coesistenza duale tra una natura antropizzata e di una mutata; la fascinazione incontra dunque la corrispondenza tra le parti, crea un nuovo linguaggio dialogico per la creazione di nuovi miti, nuovi stilemi, flessibili e totalmente fluidi confluenti in un abbraccio tra l’oggettività e il pensiero.”


Francesca Laghezza, Panta rhei

L’autrice: Francesca Laghezza, un’aspirante fotografa lucana, ormai cittadina lombarda e studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Tramite i suoi lavori tenta di raccontare storie ponendo principalmente l’attenzione su temi legati alla sfera emotiva poiché è ciò che le interessa maggiormente.
L’opera: “Il progetto è nato combinando una serie di eventi appartenenti a questi ultimi periodi di vita condizionati dalla reclusione a casa per via della pandemia. Noi tutti ci siamo interrogati su tante questioni riguardante il nostro essere, la nostra condizione umana, i nostri percorsi di vita e, di conseguenza, capire in quale modo noi singoli individui riusciamo ad affrontare ogni situazione che la vita ci riserva. Ho come avuto la sensazione che tutto cominciasse ad esser messo in discussione, tutto ciò che si gestiva in maniera naturale, ritmicamente e quotidianamente, non ci fosse più. Si è ribaltata una condizione di vita scontata che tutto ad un tratto di scontato non aveva più nulla. Tanto, troppo tempo da dedicare a noi stessi, per riflettere sui nostri pensieri e per conoscerci con una calma a noi nuova. La routine incalzava bene i primi giorni, poi arrivava un crollo, poi ancora un ritmo esaltante nel fare delle attività nuove, poi ancora un crollo. A chi affidarsi, con chi entrare nell’intimo ora che se ne aveva la possibilità? La verità è che per la prima volta abbiamo dovuto fare i conti con noi stessi, contare esclusivamente sulle nostre forze. Emozioni e sensazioni nuove, delle regole imposte per poter reggere un peso grande che è la solitudine obbligata. Buio e a tratti luce… Cosa fare, quale alternativa avere se non provare a ricercare il bello, qualcosa che ci facesse bene nonostante la condivisione fosse solo con noi stessi. Apprezzare la nostra stessa compagnia seguendo degli schemi da noi solo imposti. “Avere mille cose da sbrigare, mille pensieri da riordinare, c’ero ma non mi chiedevo realmente come stavo”. Una delle prime cose a cui ho pensato per potermi salvare è stata l’arte, una parentesi della mia vita sempre aperta che mi ha dato la possibilità, attraverso le vite e le creazioni di altri, di conoscere me stessa e di accettarmi. Ed ecco che ancora una volta mi sono aggrappata a qualcosa e ce l’ho fatta. Poi ancora il buio. Tramite la fotografia ho cercato di esprimere tutto ciò. Tramite i miei racconti ho mostrato un aspetto che avranno vissuto tante altre persone.”


Daniela Latini, Polaroids / Ex Om

L’autrice: Daniela Latini nasce a Jesi (AN) nel 1971. Fotografa dal 1997 e vive a Milano da 12 anni.
L’opera: “Polaroids: una serie di Polaroids scattate dal balcone di casa, nel tentativo di guardare la realtà con occhi sempre nuovi.
Ex OM: e “Officine Meccaniche” – OM – di Milano erano un immenso complesso industriale situato nella zona sud della città a ridosso del quartiere Vigentino. Attive tra il 1899 e il 1975, producevano automobili, macchine agricole, mezzi ferroviari, motori e veicoli industriali.
Negli anni 90, l’intera area viene riconvertita in condomini, uffici pubblici e privati, parchi. L’ unica testimonianza dell’antico passato industriale è il vecchio carroponte che si erge solitario nel “Parco Ex Om” o “Parco delle memorie industriali”, inaugurato nel 2004. La riqualificazione dell’area prevedeva anche la costruzione di un anfiteatro da 1500 posti, un frutteto e vari giardini non ancora realizzati.”


 Ilaria Maiorino, Purple Times – I miei giorni viola

L’autrice: Ilaria Maiorino, da Brescia, dove è nata nel luglio 1997 e ha frequentato il Liceo Classico Arnaldo, a Milano dove ora vive e studia. Ha approfondito la sua passione per l’arte nelle sue diverse forme all’Accademia di Brera prima durante il Triennio di Pittura e attualmente al Biennio di Fotografia.
L’opera: “Negli ultimi anni ho dovuto convivere molto con le mie emozioni, mi sentivo vuota da creatività e mi sono odiata per questo. Queste foto sono un modo di esprimere quei sentimenti e viola è il colore che ho dato a questa fase della mia vita. Ho iniziato ad usarlo inconsciamente tempo fa, durante il primo lockdown. Molte volte mi sono trovata a pensare che la fotografia non fosse la mia strada, continuavo a mettermi a confronto con altri, ma alla fine, anche nei momenti più bui e tristi, mi sono resa conto che la fotografia è la prima forma di espressione che uso per stare meglio.”


Cecilia Tersilla Maranesi, Riflessi

L’autrice: Ci siamo resi conto di cosa veramente ci mancava. Staremo più attenti in futuro alle piccole cose?
L’opera: “Il progetto fotografico rappresenta ciò che molte persone hanno provato nel periodo di pandemia, un sentimento che ha provocato emozioni differenti negli individui, la distanza ci ha resi differenti a prima?
Il soggetto rappresentato si trova al di là di un vetro, che rappresenta il distanziamento che abbiamo dovuto mantenere che pur essendo sottile ci separava.”


Federica Mariani, Bambina

L’autrice: Federica Mariani nasce a Milano il 26 luglio 2000, vive e studia a Milano. Dal 2019 studia Grafica d’arte nel dipartimento di arti visive dell’Accademia di belle arti di Brera, attualmente frequenta il terzo anno del diploma di primo livello.
L’opera: “BAMBINA è un progetto che nasce dall’esigenza di trovare un nuovo volto a me stessa, una nuova identità.
Durante i lockdown che si sono susseguiti in tutto il 2020 e il 2021, ho provato emozioni molto forti e vive (paura, smarrimento, ansia), che hanno influenzato la percezione che avevo di me stessa. Mi chiedevo, e mi chiedo tuttora “Chi sono io?”, “Cosa mi rende Federica?”.
Ho cercato di trovare una risposta nell’autoritratto: in questi scatti ho voluto condensare i diversi lati che percepisco di me stessa. “Chi sono io?” Sono il mio corpo, la mia stanza, gli oggetti che mi circondano, la mia infanzia, il futuro che mi attende.”


Alessia Morcelli, Feature

L’autrice: L’invito è quello di esplorare ed accettare tutte le emozioni — siano esse positive o negative — soprattutto se generate da periodo pandemico e comprendere le varie sfaccettature caratteriali che ne derivano.


Marzia Nicola, Aspettative

L’autrice: Studentessa di Nuove Tecnologie dell’Arte presso Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Appassionata di video e fotografia.


Simone Panzeri, Useless Camera

L’autore: Simone Panzeri (1998) vive e lavora tra Milano e Monza, per la realizzazione dei suoi progetti e la sua poetica rimedializza differenti tecnologie, utilizzandole in maniera non convenzionale va a creare così una narrazione di tematiche intime e personali.
L’opera: “Useless Camera è un progetto fotografico realizzato nel 2021 che si basa sul ridare vita ad alcune videocamere di sorveglianza, smantellate nel corso degli anni per l’inutilità delle scene riprese e divenute ormai semplici scarti industriali. L’artista tramite i racconti e le storie riportate dai tecnici che hanno smontato le telecamere, ha realizzato degli appunti per andare a ricreare quello che un tempo le telecamere riprendevano. L’opera si struttura così non più tramite immagini con finalità tecniche a scopo di sorveglianza, ma si vengono a creare immagini puramente estetiche. Per realizzare le varie fotografie di paesaggio presenti nel progetto sono state utilizzate le videocamere fotografate in still life. Queste sono state rimesse in funzione e montate in luoghi simili a quelli che in origine riprendevano tramite i racconti raccolti. Il progetto è installato come un trittico di elementi composto da: gli appunti dei racconti e gli schemi dei tecnici che hanno installato le telecamere, le videocamere fotografate in still life e infine le fotografie realizzate tramite le varie telecamere. Il progetto comprende 12 fotografie still life, 12 fotografie di paesaggio e 12 fogli di appunti che permettono di ricostruire la storia delle stesse telecamere.”


Federica Pezzotti, NCP

L’autrice: Federica Pezzotti nasce a Desenzano del Garda il 20/12/1995. Dopo il diploma liceale ( in scienze umane con indirizzo economico sociale) si trasferisce un anno in Spagna (Siviglia). Tornata in italia si laurea all’università LABA di Brescia con lode il 16/05/2020. Durante il tri nnio espone in diverse gallerie tra cui AAB 2017 (Brescia), Alba Gallery 2019 (Brescia), Macoof 2018 (Brescia). Attualmente frequenta l’ultimo anno del biennio di fotografia a Brera.
L’opera: “Così come la lana viene rappresentata schiacciata attraverso il mezzo dello scanner, così come quando viene a contatto con la nostra pelle, come con dei vecchi maglioni infeltriti ci danneggia, così è il sentimento che mi pervade in mezzo alla gente. Durante l’isolamento avevo costantemente sotto gli occhi, affacciandomi dalla finestra, la natura di cui non potevo essere partecipe. Attraverso il mio archivio personale ho prelevato alcune immagini (naturalistiche) ricollegandole visivamente alla lana. senso di oppressione fisico (il contatto con la gente) e visivo (l’impossibilità di poter raggiungere ciò che sta fuori).”


Alessandro Pigliapoco, Terra mia

L’autore: Alessandro Pigliapoco, 20 anni, nato a Jesi nelle Marche, è uno studente al secondo anno dell’accademia di Brera e frequenta il corso nuove tecnologie dell’arte. La fotografia gli è piaciuta sin da quando era piccolo e con il tempo è diventata una vera passione.
L’opera: “Questo progetto è un modo per me di riportare alla luce vecchie storie ed esperienze che non vogliono essere dimenticate e consolidare un legame affettivo con le origini e con la mia terra.”


Delfo Pozzi, Islanda 2021

L’autore: Delfo Pozzi (Savona, 1985), arrivato da una Laurea Magistrale in Lettere e da una passionaccia ultradecennale per il fotogiornalismo, a Brera sta approfondendo le possibilità legate alla fotografia d’arte. L’obbiettivo della sua ricerca rimane profondamente umanistico: cerca i sottili fili che legano ogni uomo ai suoi sogni, ai suoi simili, alla natura, al tempo che scorre.
L’opera: “Un viaggio di tre mesi, in automobile, in una primavera che a volte sembrava una pura ipotesi persa tra le pagine del calendario.
Lì fuori, tutto intorno a noi, semplicemente la realtà: spesso sottovalutata, a tratti impressionante, in fin dei conti l’unica tangibile forma da cui a nessuno è dato modo di staccarsi.
E quando è bufera la accetti.”


Massimo Pugliese, DOMANI. Aspettative, previsioni e desideri per l’epoca post pandemica

L’autore: Massimo Pugliese, studente di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Artista visivo che ama esprimersi spaziando dal disegno alla fotografia.
L’opera: “La pandemia causata dal Covid 19, ha posto l’essere umano di fronte a nuovi interrogativi e forti dubbi, sia pratici e funzionali, che morali ed esistenziali.
Le fotografie presentate in quest’occasione sono la sintesi di uno sguardo ravvicinato e attento rivolto verso i frammenti che costituiscono la realtà che ci circonda. Uno sguardo che mira a ri-valutare dettagli apparentemente insignificanti e a rivelare una verità nascosta che si cela dietro la visione.
Le previsioni per il futuro appaiono sempre più incerte e preoccupanti.
Qualcosa di sicuro però c’è: per affrontare il ‘domani’ é necessario un cambio di punto di vista, un’inedita interpretazione della realtà che stiamo vivendo oggi, che è preludio del nuovo mondo che ci attende.”


Terry Renda, Microbes

L’autrice: Terry Renda, nata a Reggio Calabria (1990) , si è formata presso l’Accademia di Belle arti di Carrara. Da 2019 vive e lavora tra Milano e Lucca.
L’opera: Servirsi di quello che la natura ci offre per plasmare e rendere visibile ciò che in questo momento è trasparente, non percepibile ai nostri occhi ma costantemente presente nelle nostre vite. Una specie di metamorfosi di più virus, di batteri, di esseri invisibili. Cosa ci dice la natura quando la osserviamo da vicino? Ogni suo aspetto diventa uno spunto per creare e raccontare attraverso la fotografia la nostra nuova vita in questo ecosistema complesso. Microbes sono una serie di foto la cui idea nasce durante la quarantena per poi passare alla realizzazione nei mesi successivi, è stato il mio modo di raccontare la pandemia in atto. Alcune forme di fiori, piante, piccoli animaletti, mi restituivano una specie di trasmutazione di quel dannato virus, il “Covid-19”, come se ormai la sua immagine al microscopio si fosse ben consolidata nella mia mente, forse per le ripetute volte che è passata dai nostri schermi. Allora ho iniziato a sperimentare e a servirmi di quello che la natura mi offriva per rimettere in scena il tutto. Non una copia, ma un’interpretazione, che potrà mutare nel tempo, trasformarsi e diventare una visione molto più tenue, leggera e meno pavida.


Guendalina Rollo, Lockdown

L’autrice: Guendalina Rollo è una studentessa di Lecce che vive a Milano, laureata il Progettazione Artistica per l’Impresa. Frequenta la facoltà di Product Design presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. I suoi lavori ruotano intorno al campo della modellazione 3D, del design e della fotografia artistica.
L’opera: ” ‘Lockdown’ descrive le sensazioni provate nei mesi di isolamento dal mondo reale, l’apatia, l’alienazione, la confusione e lo smarrimento. Rappresenta la personificazione di questi sentimenti e il tempo che non scorre.”


Francesca Ruberto, Battute di Caccia

L’autrice: Francesca Ruberto è un’artista e musicista italiana, nata tra le montagne del Gargano.
L’opera: ” “Battute di caccia” è un progetto che indaga i territori della provincia di Foggia, in particolare il Gargano. Una zona di catene, vette non altissime, corrose dai venti del nord, con anfratti e grave, dal clima mediterraneo torrido e dal suolo sterile. La ricerca pone un dialogo tra il territorio e i suoi abitanti. La piattezza delle aree abitabili, e gli sconfinati campi e le terre aride che tappezzano la provincia della Capitanata dominano e influenzano i caratteri resilienti di coloro che popolano questi luoghi. Grazie a i cimeli dell’autrice, le azioni performative dei soggetti e la documentazione dei luoghi in cui aleggia l’aria viziata della malavita e dell’abbandono, le immagini rappresentano un safari dal tono ambiguo e sospettoso, in cui l’autrice esprime il concetto di resilienza, sopravvivenza, esistenza e retaggio culturale.
Il tempo e la sua lentezza dettano la legge della memoria e della sua morte. “Battute di Caccia” mette in scena implicitamente le dinamiche silenziose dei criminali residenti nel Gargano. Un percorso di documentazione della natura del luogo e di ciò che nasconde: dalle piante grasse e dai tronchi bruciati nelle cosiddette “masserie” alle cave di bauxite e tufo. I luoghi attraversati e fotografati, quelli adiacenti alle cave, sono veri e propri cimiteri di carcasse e corpi senza lapidi. L’opera si propone con un accento narrativo onirico e simbolico ma allo stesso tempo indaga il paesaggio e i luoghi specifici in cui sono stati rinvenuti corpi o altri tipi di tracce.”


Alice Savio, risveglio

L’autrice: 20 anni, studentessa di pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera.
L’opera: “Questo progetto nasce dall’idea di voler rappresentare l’immobilità, l’impotenza e la voglia di libertà che ognuno di noi ha potuto provare sulla propria pelle durante i lockdown. Durante lo sviluppo del progetto ho pensato inoltre che sarebbe stato interessante concentrarsi anche su come, nei momenti di riapertura, dopo mesi trascorsi in casa abbiamo potuto riacquisire parzialmente la libertà di muoverci e di esplorare. Le prime foto raccontano di questo graduale risveglio delle gambe, simbolo di movimento, coloro che ci permettono di camminare, di scoprire spazi nuovi e di varcare confini che durante l’ultimo anno sono stati spesso invalicabili. Nelle fotografie i piedi e le gambe sono sempre di colore bianco, il colore dell’invecchiamento, come a rappresentare una parziale paralisi di questa parte del corpo, un indebolimento provocato dall’impossibilità di muoversi oltre la soglia di casa. Le gambe sono state ferme per troppo tempo, statiche, si riempiono di ragnatele sono paragonate a delle radici di un albero morto, innalzandosi su di una panchina cercano una visuale ampliata oltre la siepe del giardino di casa. Negli scatti successivi si può invece notare una maggiore presenza della natura, del verde, del bosco: le gambe possono finalmente muoversi di nuovo ricongiungendosi direttamente con la terra, correndo libere a contatto con il suolo. Allo stesso tempo però le gambe si mostrano provate, incerte, stanche, rimangono legate all’idea di casa, in parte impreparate a riprende totalmente i ritmi di un tempo. Il legame con la terra però è fortemente evidenziato, le gambe sono ormai libere di muoversi in natura, dove furono originariamente destinate a stare, un luogo di riflessione e di ricerca di se stessi, lontani da casa in cui apparentemente ci si può estraniare e dimenticarsi della situazione di malessere vissuta negli ultimi tempi.”


Claudia Tita, Otto Stadi dal Mare / Accura

L’autrice: Claudia Tita, 5 Agosto 1995, Palermo


Francesco Tomè, La Restanza

L’autore: Francesco Tomè
L’opera: “Immagini di Persone e Montagne.”


Federico Torretti, Limbo

L’autore: Studente di Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Appassionato di fotografia e arti digitali.
L’opera: “L’idea dell’opera è quella di esprimere attraverso le immagini un senso di calma e liberazione, di chi ha visto il mondo attorno a sè fermarsi e ha potuto riscoprirlo partendo dai luoghi a lui più familiari, senza la pressione e la frenesia di quella che era la società prima della pandemia.”


Simone Trentin, Via lattea

L’autore: Simone Trentin
L’opera: “Via lattea – Sicilia, 2017”


Daniel Alexander von Johnston, Periculum

L’autore: Daniel Alexander von Johnston nasce a Bolzano nel 1992. Si interessa alle arti visive conseguendo nel 2017 la laurea triennale in advertising presso la NABA dove prosegue gli studi frequentando il master di fotografia e visual design nel 2019. Attualmente è impegnato a proseguire la sua ricerca artistica basata sulla decontestualizzazione dell’immagine e sulla conseguente rielaborazione di essa attraverso lo studio del colore.
L’opera: “Queste immagini cercano di mostrare cosa succede quando il ponte di comunicazione si rompe. Il danno assonale diffuso è una lesione cerebrale che danneggia irreparabilmente la struttura degli assoni, ovvero i prolungamenti centripeti dei neuroni responsabili della trasmissione dei potenziali d’azione. Questo può succedere, ed è successo, anche nel tessuto sociale. Quando la libertà di espressione è soffocata da forme dittatoriali, limita e corrompe la libertà di pensiero.
La mente vive solo nella comunicazione, nel riceverla e nel darla. Le stesse immagini descrivono in maniera astratta i due aspetti, micro e macro; dal momento della rottura, al caos improvviso, alla totale assenza di comunicazione attraverso quel canale.”


Christiana Yehouessi, Echoes in oblivion

L’autrice: ” As well as the universe, each star an emotions ” – Christiana Yehouessi
L’opera: ” ‘Echi nell’oblio’ è paura, ansia, autodistruzione, solitudine, incomprensione, disperazione, sospensione e illusione; ma anche follia, speranza, immaginazione, sogno, desiderio, determinazione e pace.
Queste fotografie sono frammenti di tempo che raccontano gli ultimi anni immersi dalla pandemia Covid-19, tempo in cui sembra che il mondo si sia fermato in attesa.
Quando si è nel baratro più buio come l’oblio, si attende e ci si logora, fino a quando non si ode un eco o finché si vede una luce di speranza, che ti porta a rivivere.”